GIUSEPPE ERRICO
La cura della conciliazione e delle genitorialità
Oggi più che mai il bisogno di relazione
e di aver "più tempo" per gestire i carichi familiari sollecita una
riflessione e la necessità di luoghi per i bambini e le famiglie, piuttosto che
servizi solo per i bambini; la presenza dei genitori, non necessariamente
fisica, ma il loro sempre più frequente bisogno di chiedere, di domandare, nel
tentativo di essere genitori adeguati e autorevoli, impone gli addetti ai
lavori (psicologi, animatori, assistenti sociali e educatrici) un ribaltamento
di prospettiva culturale, rispetto al lavoro di chi educa o cura, abdicando al
ruolo di protagonismo che l’azione educativa e sociale spesso evoca (il potere
assegnato al competente, a colui/lei che indica in senso prescrittivo come si
deve fare) per sostituire all’atteggiamento invadente e un tantino presuntuoso
di chi si ritiene “esperto”, la forza e la dolcezza, o meglio come dice
Canevaro, la forza nella dolcezza attraverso un ascolto partecipante.
Canevaro citando B. Schwartz, ricorda
che c’è nell’ ascolto anche un possibile rischio di manipolazione
dell’altro: questo accade quando si ascolta con l’intenzione di
impossessarsi dei discorsi dell’altro per “metterli al servizio dei propri
interessi”.
Quando invece ascoltare l’altro
significa sforzarsi di “sentirlo”, “andare verso di lui”, “capire da dove
parla”, cioè da quale premessa costruisce il proprio pensiero, si abbassa la
soglia del potere erroneamente interpretato, per innalzare il livello di
responsabilità e condivisione che comunque appartiene ad ogni “tecnico” e che
chi educa deve prevedere.
Nei servizi educativi - come nei centri
per le famiglie - il tentativo di stare assieme anche ai genitori, sforzandosi
di capire da dove parlano, per condividere stili relazionali, esperienze di
vita quotidiana, rimanda alla necessità di valorizzare non solo gli elementi di
forza che caratterizzano i saperi, ma anche quelli di debolezza, esaltando la
reciprocità delle competenze che si danno come dono lieve e non come certezze
grevi e tantomeno assolute.
Per questo ed altri motivi occorre
insistere sulla valorizzazione del sostegno alla famiglia: sempre
più assume maggiore valore la collaborazione tra servizi e famiglie anche per
facilitare l’inserimento delle donne nel mercato del lavoro e per favorire la
conciliazione dei tempi di cura e lavoro: compaiono dunque riferimenti come:
sostenere le famiglie; facilitare l’accesso della donna al lavoro; promuovere
un servizio alla famiglia; assicurare un sostegno alle famiglie; sostenere il
lavoro di cura dei genitori; facilitare l’accesso dei genitori al lavoro;
collaborare con le famiglie; fornire un servizio di conciliazione dei tempi di
vita e di lavoro; facilitare inserimento sociale e lavorativo dei genitori.
Da tempo il nostro impegno associativo
(Agenzia Arcipelago Onlus, Ipers) nel settore dei servizi socio educativi per
l'infanzia e le famiglie, è quello di far dialogare alcune prassi
multiaccadimentali (cura, riabilitazione, prevenzione, ecc.) fondamentali
che ispirano la progettazione in ambito tecnico con la cura e la prevenzione
sociale, nel tentativo di facilitare una integrazione tra
discipline diverse.
L'intento è quello di promuovere
una coscienza della cura, più adeguata coerenza tra ciò che
viene elaborato e prodotto nei servizi e la loro traduzione in azioni di programmazione,
azioni che solo un impianto culturale e sociale aggiornato può facilitare.
Il tema dell’aiuto e sostegno alle
famiglie costituisce una sfida per il futuro in un mondo che cambia senza
soste.
Se leggiamo le leggi regionali e
nazionali (ex legge 285/97) dedicate all'infanzia e alle famiglie, si può
ritracciare un certo rispetto del legislatore rivolto ai temi della pratica
educativa; ci sono infatti termini che ricorrono come "cura,
socializzazione, educazione per lo sviluppo delle potenzialità cognitive,
affettive, relazionali e sociali del bambino e del gruppo, valorizzazione delle
competenze genitoriali e facilitazione per l’armonizzazione dei tempi di cura e
di lavoro".
Questi termini evocano un rispetto circa
i temi salienti che caratterizzano l'operato del personale dei servizi e
laddove le leggi rimarcano tale valore, è opportuno che anche i progetti e le
azioni che il personale mette in campo nei propri servizi, raccogliessero e
dessero significato a tali affermazioni. La pratica supera la teoria.
Il patrimonio di pensieri e
gesti, e quindi di riferimenti culturali, lasciato in eredità dai servizi
socio-educativi ai genitori è un patrimonio attivo, costruito assieme a loro e
lasciato loro in eredità perché possano, attraverso la memoria, riappropriarsi,
di tanto in tanto, con i loro figli di un vissuto condiviso assieme ad altri
bambini e genitori in un luogo in un tempo dove la quotidianità si sforza di
non essere fatta di gesti distratti, ma di piccole soste necessarie a ritrovare
l’integrità del proprio “io” in relazione ad altri che diventano tanti “noi”.
Per questo non può essere disperso.
E’ dalla cultura dei gesti e dei
pensieri che si affina la consapevolezza nel genitore più adeguato, in grado di
riconoscere le proprie risorse da mettere in gioco nella relazione con il
proprio figlio o di esprimere il bisogno di sostegno da rivolgere a servizi
amichevoli, laddove la mancanza di riferimenti può disorientare; è da quella
stessa cultura, di gesti e pensieri, che trae consapevolezza anche chi opera
nel settore rispetto alla propria funzione educativa che assume una
responsabilità maggiore ed una interpretazione di ruolo sicuramente più
complessa.
Infine la cultura dei gesti e dei
pensieri, di cui ogni bambino e genitore è testimone, una volta lasciato i
servizi educativi, non può che produrre ricchezza soprattutto nell’incontro con
i servizi educativi e scolastici presenti lungo il tragitto scolastico. A volte
l’incontro può essere semplice o più faticoso, altre volte impertinente o carente;
tuttavia, nel tempo costituisce sempre un’occasione di riflessione, conoscenza
e di sfida che un sistema sociale sufficientemente adeguato, se lo ritiene
opportuno, può e deve raccogliere, rielaborare e rilanciare. Oggi occorre, con
sempre maggiore frequenza, valorizzare il tema delle prassi di
conciliazione, della collaborazione con le famiglie e, in termini di continuità
educativa orizzontale e verticale, in primis lo psicologo non
trascura di sottolineare l'importanza di uno scambio e di una integrazione tra
l'area psicoeducativa e quella sociale e sanitaria e culturale. Si profilano in
questo senso come virtuosi tutti i rapporti con le istituzioni e le
professionalità che aiutano a rendere il percorso di nascita e crescita del
bambino coeso, armonico, integrato, condiviso con le famiglie, un percorso
senza strappi e contraddittorie interruzioni.
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