PROF.GIULIO TARRO
La salute come fine fondamentale della
medicina
Intervento al seminario di studi su
“Lavoro, famiglia, salute”, CISL
Napoli 4-3-2015
Desidero cominciare
con una sintetica riflessione sul clamoroso assenteismo dell’elettorato che ha
fatto fallire il referendum sulla procreazione assistita e, in particolare,
sull’utilizzo ai fini di ricerca scientifica delle cellule staminali
embrionali. Assenteismo sul quale – oltre, a convinzioni etiche e religiose,
disinteresse, difficoltà a risolvere con un SI o con un NO questioni
indubbiamente complesse... – ha, pesato una, diffusa diffidenza per la Scienza.
Da questo punto di vista, quella che è stata vista come una “levata di scudi”
da parte del mondo della ricerca, con la “scesa in campo” di innumerevoli
scienziati, tra i quali due Premi Nobel per la Medicina a difesa della ricerca
sulle cellule staminali embrionali, enfatizzando una loro potenzialità ai fini
terapeutici ha finito per cementare in vasti settori dell’opinione pubblica una
sorta di contrapposizione tra Scienza e Umanesimo; una visione della Scienza
come meccanismo cieco volto a perseguire, i deliri di onnipotenza dello
scienziato.
Oggi più che
mai, quindi, è importante che i ricercatori escano dalla torre di avorio nella
quale molti si illudono di potere continuare ad operare. E, per fare nostre le
parole del titolo di un recente editoriale, non dobbiamo lasciare la scienza
agli scienziati ma confrontarci con la società, sviluppare un dibattito sul
valore della libertà della ricerca scientifica, intorno al quale si è formata
l’epoca moderna. Un compito ancora più importante considerando il nostro essere
medici. Una professione, che fin dai tempi di Ippocrate ha sentito il bisogno
di definire un tracciato etico all’interno del quale operare.
Nella vita
umana pochi cambiamenti sono stati così profondi come quelli prodotti dalle
scienze biomediche e dalla pratica della medicina. Essi hanno comportato
un’estensione enorme dell’aspettativa di vita e la virtuale eliminazione di
tutta una gamma di malattie infettive. Oggi noi siamo in grado di diagnosticare
le anomalie genetiche del feto, di trapiantare organi, di controllare la
riproduzione, di alleviare il dolore e di operare riabilitazioni fisiche: tutte
cose che un secolo fa erano del tutto inimmaginabili. Tale trasformazione ha
mutato il modo in cui gli esseri umani pensano alle antiche minacce della
malattia, delle infermità e della morte. Ha cambiato interamente il modo in cui
le società organizzano l’assistenza sanitaria.
Eppure, non
si può certo dire che i motivi di preoccupazione siano venuti meno. L’ottimismo
sull’imminente sconfitta delle malattie si è rivelato illusorio. Le malattie
infettive in realtà non sono state eliminate, specialmente nelle nazioni in via
di sviluppo, ma addirittura sono in aumento. E anche nei paesi progrediti
stiamo assistendo a una ripresa. Le malattie croniche e quelle degenerative
della vecchiaia conservano tutto il loro peso. Ogni nazione è impegnata a
livello politico e economico ad affrontare il problema sempre più arduo di
finanziare l’assistenza sanitaria. Le nazioni avanzate trovano sempre più difficile
soddisfare tutti i bisogni medici e finanziare tutte le nuove possibilità che
emergono. Dovunque si avverte la crescente necessità di tenere sotto controllo
i costi e di conseguire un più elevato livello di efficienza. Nelle nazioni
ricche del mondo l’idea di un progresso costante e lineare si è infranta contro
ostacoli scientifici ed economici. Nei paesi in via di sviluppo, in cui pure si
sono fatti progressi notevoli in termini di riduzione della mortalità infantile
e di elevamento dell’aspettativa media di vita, si stanno affrontando
interrogativi fondamentali legati alla seguente questione di fondo: fino a che
punto è opportuno imitare i modelli dei paesi avanzati, con le loro costose
tecnologie, e riprodurre i loro complessi e dispendiosi sistemi di assistenza sanitaria?
In quasi tutte le nazioni stiamo assistendo all’affiorare di preoccupazioni
sempre più gravi sul futuro della medicina e dell’assistenza sanitaria in relazione
all’invecchiamento della popolazione, di un rapido progresso tecnologico e di
una domanda pubblica continuamente crescente. In tal senso, l’emergere di un
forte movimento per l’autodeterminazione del paziente costituisce per questi
sviluppi uno sfondo morale importante.
La medicina,
secondo la definizione datale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità può essere
definita come “l’arte e la scienza della diagnosi e del trattamento della
malattia, nonché del mantenimento della salute.” Questa definizione
convenzionale non coglie tutta la ricchezza e la pluralità di dimensioni della
medicina. Si pensi alle questioni emerse di recente al riguardo di alcuni scopi
comunemente accettati della medicina. Uno scopo tradizionale della medicina è
quello di salvare la vita e di prolungarla. Ma che senso ha questo obiettivo
nel momento in cui si dispone di macchine capaci di tenere in vita il corpo di
persone che in passato non avrebbero avuto scampo? Fino a che punto la medicina
deve prolungare una vita umana in procinto di spegnersi? A parte la questione
della preservazione della vita individuale, la ricerca genetica ha fatto
emergere la possibilità di incrementare significativamente l’aspettativa media
di vita.
Un altro
scopo tradizionale è costituito dalla promozione e dal mantenimento della
salute. Ma che cosa significa questo in un’epoca in cui, con una spesa molto
elevata, è possibile mantenere in vita neonati che pesano meno di 500 grammi e
vecchi che hanno raggiunto i 100 anni? È proprio vero che malattie e infermità
non devono essere mai accettate? Il termine “salute” non può avere significati
diversi nelle diverse stagioni della vita? È più importante prevenire la
malattia o cercare di curarla dopo che sia insorta? La ricerca genetica sta
mettendo a punto forme più sofisticate di medicina predittiva; ma che cosa
significa per le persone conoscere nell’infanzia la probabilità di andare
incontro a malattie cardiache o al morbo di Alzheimer nel corso della
vecchiaia?
Un altro scopo tradizionale della medicina è
quello di alleviare dolori e sofferenze. Ebbene, questo significa, come
direbbero alcuni, che l’eutanasia e l’assistenza al suicidio devono entrare a
far parte dei compiti riconosciuti della medicina?
Oggi più che
mai la medicina in generale risente di forti tensioni dovute a tutta una
varietà di ragioni scientifiche, economiche, sociali e politiche. Alcune di
queste tensioni sono ingenerate non dai fallimenti, ma dai successi della
medicina stessa. Nelle società occidentali per certe persone la salute fisica è
diventata una specie di religione: il mantenimento della giovinezza, della
bellezza e di un corpo perfettamente efficiente costituiscono per loro un
obiettivo importante. All’estremo opposto, la capacità della medicina di tenere
in vita dei corpi disperatamente malati, anche quando la salute è
irrimediabilmente perduta, può ingenerare il dilemma morale della sospensione
del trattamento. In tal senso, la diffusione delle malattie croniche è un costo
indiretto della capacità della medicina di tenere in vita persone che in
passato sarebbero morte.
Nella storia
della medicina nessun avanzamento è stato così importante come l’affermarsi del
predominio di tecnologie diagnostiche e terapeutiche sofisticate. Oggi la
formazione dei medici è finalizzata all’uso di queste tecnologie, le industrie
farmaceutiche e quelle che producono apparecchi medici mirano soprattutto
all’affinamento e all’adeguamento di queste tecnologie, e i sistemi sanitari si
preoccupano di procurarsele e di pagarle. Il successo medico di queste
tecnologie è, in molti casi, poco meno che miracoloso, motivo di orgoglio
professionale e di ammirazione pubblica. Per molte persone il fatto di poter
accedere a una tecnologia medica avanzata per far fronte ai colpi della fortuna
è motivo di speranza e di conforto. Non è certo un caso che tali tecnologie
siano altamente apprezzate nei paesi avanzati e ansiosamente ricercate nei
paesi in via di sviluppo.
Eppure
queste tecnologie complessivamente hanno determinato un vistoso aumento dei
costi della medicina e dell’assistenza sanitaria. Ci sono bensì tecnologie che
abbattono i costi o che li incrementano in misura relativamente contenuta; ma
molte, probabilmente la maggioranza di esse, hanno determinato un deciso
aumento dei costi: o perché hanno reso possibile un trattamento che prima non
c’era, o perché hanno consentito nuove forme di riabilitazione e di
prolungamento dell’esistenza, o perché hanno aggiunto un’opzione ulteriore alla
gamma delle tecnologie preesistenti. La linea di tendenza, come ha notato
l’Organizzazione mondiale della sanità, è verso un trattamento più costoso di
malattie che colpiscono meno persone. Gran parte dei miglioramenti in termini
di salute prodotti da questi progressi tecnologici, inoltre, si collocano alla
fine della vita, dove i benefici sono relativamente costosi. La ricerca di un
progresso sempre crescente, ambizioso e infinito - la lotta contro malattie mai
definitivamente vinte - che è stata la bandiera stessa della medicina degli
ultimi cinquant’anni, forse oggi ha raggiunto un livello così elevato che molti
paesi incominciano a rendersi conto di non poterselo permettere.
Un altro
importante valore culturale, specialmente nelle società dominate dal mercato, è
la soddisfazione dei desideri individuali. La medicina non è più semplicemente
un mezzo per far fronte alle malattie e alle infermità, come voleva la
tradizione, ma diventa anche un modo per espandere le possibilità e le scelte
umane. In molti casi, ad esempio sul terreno del controllo volontario del
numero dei figli, questo fatto ha comportato benefici evidenti. Ma il nuovo
punto di vista amplia anche il concetto di medicina e del suo ambito di
competenza, e questa tendenza, se spinta troppo in là, tende a trasformare la
medicina stessa in una pura e semplice collezione di fatti e di tecniche
neutrali, da usare a piacimento, senza riconoscere altri vincoli che quelli
economici.
L’enorme
potere della medicina di modificare e di cambiare il corpo umano, ossia di
aprire nuove possibilità biologiche, ha reso allettante l’idea di medicalizzare
il più possibile la vita umana. Ad alimentare questo fenomeno sono le
aspettative sociali e l’ampliarsi delle possibilità tecnologiche. Per processo
di medicalizzazione intendiamo l’applicazione delle conoscenze e delle tecnologie
mediche a problemi storicamente non considerati di natura medica. Ma quand’è
che la medicalizzazione può considerarsi appropriata e opportuna? Se la vita
ingenera angoscia e tristezza esistenziale, come di fatto avviene, è giusto
andare alla ricerca di un rimedio farmacologico? Se le società producono
violenza e patologia sociale, la medicina fa bene ad usare le proprie conoscenze
e le proprie capacità cliniche per apprestare un rimedio? E qualora la stessa
natura umana appaia difettosa, è corretto cercare di migliorarla con interventi
di carattere genetico?
La frontiera
più grande, aperta e utopistica della medicina è quella del miglioramento
umano: si tratta di usare la medicina non solo per fronteggiare le patologie
biologiche e per restaurare uno stato di normalità, ma anche per migliorare
effettivamente le capacità umane - in una parola, di normalizzare e di
ottimizzare. Finora le nostre possibilità di perseguire concretamente questo
obiettivo sono state limitate, ed è possibile che tali rimangano. Tuttavia la
prospettiva resta seducente. La contraccezione moderna ha determinato una
svolta drastica nella visione del ruolo delle donne e della procreazione come
componente dell’esistenza. La nuova frontiera degli interventi genetici integra
il quadro con la prospettiva di una manipolazione dei caratteri umani fondamentali.
Così la scoperta dell’ormone umano della crescita consente già ora di aumentare
la statura di coloro che, non essendo in partenza patologicamente bassi,
desiderano però migliorare il proprio aspetto per ragioni personali o sociali.
Qui, però, è importante notare che le possibilità utopistiche di cambiare la
natura umana probabilmente sono molto limitate, mentre i progressi concreti e
quotidiani realizzati sul terreno dell’istruzione e su quello farmacologico
sono destinati ad esercitare un influsso più ampio e profondo.
La medicina,
pur avendo in sé la capacità di determinare significativamente il proprio
corso, è profondamente influenzata dai costumi, dai valori, dall’economia e
dalla politica delle società di cui fa parte. Il confine tra il campo della
medicina e il campo della società è sempre più sfumato e incerto. La medicina è
alimentata dalle enormi somme di denaro spese dai governi e dall’industria
privata, dal potere della pubblicità e dei media, nonché dai gusti, dalle
fantasie e dai desideri più diffusi tra la gente. Non è quindi irragionevole
dire che la medicina va dove va la società. Una trasformazione della medicina
richiede, idealmente, una trasformazione della società, giacché le due cose non
possono più essere tenute separate. Per ripensare gli scopi della medicina,
occorre ripensare nello stesso tempo gli scopi e i valori della società e del
substrato culturale della società.
Ma vi è una
matrice dell’universalità della medicina che è costituita dalla nostra comune
natura umana. Presto o tardi, tutti ci ammaliamo. Il corpo o la mente ci
tradiscono. Proviamo dolore e soffriamo sia direttamente a causa delle
malattie, sia indirettamente a causa delle paure legate al pensiero di come
esse segneranno la nostra vita. Il fenomeno del dolore e della sofferenza è riconosciuto
dovunque, anche se il grado in cui lo si tollera e il significato che gli si
attribuisce, al pari dei modi istituzionalizzati di reagire ad esso, sono
estremamente vari. Dovunque le persone, dovendo ovviare ai limiti e agli
insuccessi della loro capacità di far fronte all’esistenza e all’ambiente, a
dispetto della varietà delle loro aspettative circa l’efficacia dei vari modi
di porre rimedio a quelle insufficienze, sperimentano, nella giovinezza o nella
vecchiaia, la dipendenza fisica e sociale dagli altri. Il ruolo delle malattie
e delle lesioni, degli eventi esterni inaspettati che interrompono il funzionamento
regolare del corpo è un fenomeno riconosciuto da tutti.
La medicina
sarà un'impresa più funzionale e coerente, se ci sarà un insieme di scopi universalmente
riconosciuti che ne rappresentino i necessari valori fondamentali. Ma la
medicina ha bisogno di possedere propri valori interni orientanti e stabili, e
tali valori saranno più forti se scaturiranno dai suoi scopi tradizionali e in
larga misura universali.
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